Biblioteca/Cineteca

LIBRI CONSIGLIATI

Mercedes Monmany

SAI CHE TORNERO’- Tre grandi scrittrici ad Auschwitz – Etty Hillesum, Gertrud Kolmar, Irène Némirovsky

Introduzione di Nadia Fusini

Somara!Edizioni, 2022

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Impreziosito dalla bella introduzione di Nadia Fusini, è il racconto emozionante della vita e delle opere di Etty Hillesum, Gertrud Kolmar e Irène Némirovsky, tre grandi autrici, accomunate dalla medesima disumana sorte: il loro assassinio nello stesso campo di concentramento.

Queste pagine descrivono la loro incrollabile volontà di vivere, la loro preoccupazione per gli altri, il loro ottimismo che si riflette nel titolo del libro, “Sai che tornerò”, come hanno scritto più volte nelle lettere ad amici e familiari. È un’esplorazione, svolta con squisita sensibilità e un’accurata ricerca delle fonti, di quella determinazione a non essere sconfitte e a non lasciarsi abbattere: l’eroismo di continuare ad affermare, in mezzo alla barbarie, come fece Etty Hillesum, “che questa vita è bella e piena di significato. In ogni momento”.

Un libro che è un dono, come ci spiega Nadia Fusini nell’incipit della sua introduzione al libro: “rigoroso e severo, questo libro si offre a noi come la guida utile e necessaria a pensare il nostro presente, e a riflettere sul pericolo di vita e di morte, che sempre incombe nel mondo. E sempre insidia i nostri corpi e le nostre coscienze, e in particolare in questi giorni difficili dell’inizio della primavera dell’anno 2022, quando non lontano dai luoghi qui evocati – Ucraina, Russia, Polonia – accadono eventi che di nuovo ci inquietano, e affliggono. A Kiev è nata Irène Némirovsky, una città che in questi giorni è sotto i bombardamenti.”

Gertrud Kolmar

IL CANTO DEL GALLO NERO – Poesie e lettere

Prefazione di Marina Zancan

Essedue edizioni, 1990

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Considerata una delle più grandi e più intense voci della lirica tedesca del Novecento, di certo la più importante tra quelle di origine ebraica, Gertrud Kolmar è una donna ebrea, profondamente laica e perfettamente integrata nelle sfere alte della cultura e della società tedesca del tempo, che in presenza dell’aggressione nazista si vede costretta a fare i conti con la propria appartenenza razziale, dando a quest’ultima una connotazione storica e politica.

Etty Hillesum

DIARIO 1941-1943 – Ed. integrale

Traduzione di Chiara Passanti e Tina Montone

Adelphi Edizioni, 2012

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All’inizio di questo Diario, Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa e passionale. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung. È ebrea, ma non osservante. I temi religiosi la attirano, e talvolta ne parla. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici scomparsi nei campi di concentramento, uccisi o imprigionati. Un giorno, davanti a un gruppo sparuto di alberi, trova il cartello: «Vietato agli ebrei». Un altro giorno, certi negozi vengono proibiti agli ebrei. Un altro giorno, gli ebrei non possono più usare la bicicletta. Etty annota: «La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare». Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell’anima. Non pensa un solo momento, anche se ne avrebbe l’occasione, a salvarsi. Pensa a come potrà essere d’aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il «destino di massa» della morte amministrata dalle autorità tedesche. Confinata a Westerbork, campo di transito da cui sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta persino in quel «pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato» la sua capacità di essere un «cuore pensante». Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel provocare l’avvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che su Etty abbia provocato l’effetto contrario. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più «inospitale». La disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Sul diario aveva annotato: «“Temprato”: distinguerlo da “indurito”». E proprio la sua vita sta a mostrare quella differenza.

Irène Némirovsky

IL SIGNORE DELLE ANIME

Adelphi Edizioni, 2018

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Herta Müller

L’ALTALENA DEL RESPIRO

Feltrinelli, 2012

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Gennaio 1945, la guerra non è ancora finita: per ordine sovietico inizia la deportazione della minoranza rumeno-tedesca nei campi di lavoro forzato dell’Ucraina. Qui inizia anche la storia del diciassettenne Leopold Auberg, partito per il Lager con l’ingenua incoscienza del ragazzo ansioso di sfuggire all’angustia della vita di provincia. Cinque anni durerà poi l’esperienza terribile della fame e del freddo, della fatica estrema e della morte quotidiana. Per scrivere questo libro Herta Müller ha raccolto le testimonianze e i ricordi dei sopravvissuti e in primo luogo quelli del poeta rumeno-tedesco Oskar Pastior. Avrebbe dovuto essere un’opera scritta a quattro mani, che Herta Müller decise di proseguire da sola dopo la morte di Pastior nel 2006. È infatti attraverso gli occhi di quest’ultimo, quelli del ragazzo Leo nel libro, che la realtà del Lager si mostra al lettore. Gli occhi e la memoria parlano con lingua poetica e dura, metaforica e scarna, reale e nello stesso tempo surreale – come la condizione stessa della mente quando il corpo è piagato dal freddo e dalla fame. Fondato sulla realtà del Lager, intessuto dei suoi oggetti e della passione, quasi dell’ossessione, per il dettaglio quale essenza della memoria e della percezione, L’altalena del respiro è un potente testo narrativo, un’eccezionale opera letteraria, autentico capolavoro della grande autrice premio Nobel.

Il libro della vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 2009 Herta Muller. Un trionfo a sorpresa quello della scrittrice tedesca di origine romena.

Herta Müller

IL PAESE DELLE PRUGNE VERDI

Keller, 2008

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In una Romania degli anni Ottanta, quasi sospesa nel tempo, quattro giovani si ritrovano uniti dal suicidio di una ragazza di nome Lola. Da quel dolore e dalla consapevolezza di vivere in un Paese sottomesso alla dittatura, scaturisce un comune anelito di libertà che si nutre di letture e pensieri proibiti. Ben presto però i quattro devono fare i conti con l’onnipresenza del terrore. Agli interrogatori sistematici della polizia segreta, ai pedinamenti e agli atteggiamenti intimidatori segue la perdita del lavoro e, quand’anche si riesca a espatriare, ecco che le minacce proseguono e la morte ritorna sotto forma di misteriosi suicidi. In tutta questa oscurità, l’amicizia e l’amore sopravvivono.

Grazie a uno stile evocativo e immaginifico, Herta Müller – che come la protagonista del romanzo appartiene a una minoranza di lingua tedesca della Romania – riesce a trovare e far scaturire la poesia persino dal degrado materiale e spirituale di un’intera nazione.

Élisabeth Gille

UN PAESAGGIO DI CENERI

a cura di Cinzia Bigliosi

Marsilio, 2014

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Dalla figlia di Irène Némirovsky un romanzo intenso e toccante sulla tragedia della guerra e la forza dell’amicizia

Nella Francia occupata dai nazisti, un giorno del 1942 Léa Lévy, di 5 anni, separata dai genitori, ebrei russi, nella speranza che così le sia più facile sfuggire alla deportazione, viene accolta in un collegio religioso della regione di Bordeaux. Testarda e ribelle, la bambina semina lo scompiglio, dando filo da torcere alle suore che la nascondono e proteggono. Sarà la grande amicizia che la lega a Bénédicte, di due anni più grande, ad aiutarla a evadere in un mondo infantile, lontano dalla violenza degli adulti.

Ad accomunare le due bambine, il pesante tormento di non sapere più nulla dei genitori scomparsi. Ma se alla Liberazione per l’una ogni cosa si chiarisce, tutto rimane immerso nella tenebra più fitta per l’altra, che niente e nessuno riuscirà a distogliere dalla sua ostinata ricerca della verità. Bénédicte si batterà per restituire un futuro a Léa. Ma quando l’identità di una ragazzina è stata distrutta, la sua coscienza saccheggiata e devastato il suo immaginario, è ancora possibile rinascere dalle proprie ceneri?

Salutato all’uscita in Francia nel 1996 come un avvenimento letterario, Un paesaggio di ceneri costituisce sotto molti aspetti il seguito ideale di Suite francese, il romanzo capolavoro di Irène Némirovsky, madre dell’autrice. Nella drammatica e struggente storia della piccola Léa si rispecchiano, trasfigurate in grande letteratura, le vicissitudini personali e famigliari della Gille.

Jean Améry

INTELLETTUALE A AUSCHWITZ

Bollati Boringhieri, 2011

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Con inesorabile precisione e passione di verità, Améry registrò in questa sua vertiginosa discesa nell’abisso concentrazionario le disfatte dello spirito, a cominciare dalla peculiare inferiorità nella quale venne a trovarsi nel Lager. L’inadeguatezza alla dimensione meramente fisica cui a Auschwitz era ridotta la vita lo rese paria tra i paria. Era un intellettuale, un uomo infinitamente più indifeso rispetto a chi, come i credenti di qualsiasi fede o i militanti di ogni ideologia, possiede certezze assolute e spiegazioni inoppugnabili per tutto, stampelle che aiutano a sopportare umiliazioni, privazioni, torture e morte. In questo senso la sua riflessione si rivela di un’ancor più insidiosa fragilità, impedendogli di illudersi e costringendolo a scrutare sino in fondo l’annientamento della morale. Proprio attraverso la disillusa assolutezza con cui seppe misurare le nostre implacabili «perdite di terreno», Jean Améry si rivela alla fine un maestro di dignità e libertà. Pubblicato quasi in sordina nel 1966 e diventato nel volgere di qualche anno un classico imprescindibile della letteratura concentrazionaria, Intellettuale ad Auschwitz è un lucidissimo regesto sul tema del Male in una delle sue più abiette manifestazioni. La sua precisione evocativa penetra nelle fibre della mente lasciando segni indelebili nella coscienza di ognuno.

Antonio Scurati

M il figlio de secolo

Bompiani, 2022

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È un romanzo, sì, ma un romanzo in cui d’inventato non c’è nulla. Al contrario, ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso è storicamente documentato o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. È la storia dell’Italia tra il 1919 e il 1925, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento al delitto Matteotti, la storia di un Paese che si consegna alla dittatura, la storia di un uomo (M, il figlio del secolo) che rinasce molte volte dalle proprie ceneri. La storia della Storia che ci ha resi quello che siamo.

Francesco Filippi

MUSSOLINI HA FATTO ANCHE COSE BUONE

Bollati Boringhieri

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Dopo oltre settant’anni dalla caduta del fascismo, mai come ora l’idra risolleva la testa, soprattutto su Internet, ma non solo. Frasi ripetute a mo’ di barzelletta per anni, che parevano innocue e risibili fino a non molto tempo fa, si stanno sempre più facendo largo in Italia con tutt’altro obiettivo. E fanno presa.

La storiografia ha indagato il fascismo e la figura di Mussolini in tutti i suoi dettagli e continua a farlo. Il quadro che è stato tracciato dalla grande maggioranza degli studiosi è quello di un regime dispotico, violento, miope e perlopiù incapace. L’accordo tra gli studiosi, che conoscono bene la storia, è piuttosto solido e i dati non mancano.

Ma chi la storia non la conosce bene – e magari ha un’agenda politica precisa in mente – ha buon gioco a riprendere quelle antiche storielle e spacciarle per verità. È il meccanismo delle fake news, di cui tanto si parla in relazione a Internet; ma è anche il metodo propagandistico che fu tanto caro proprio ai fascisti di allora: «Dite il falso, ditelo molte volte e diventerà una verità comune».

Per reagire a questo nuovo attacco non resta che la forza dello studio. Non resta che rispondere punto su punto, per mostrare la realtà storica che si cela dietro alle «sparate» della Rete. Perché una cosa è certa: Mussolini fu un pessimo amministratore, un modestissimo stratega, tutt’altro che un uomo di specchiata onestà, un economista inetto e uno spietato dittatore. Il risultato del suo regime ventennale fu un generale impoverimento della popolazione italiana, un aumento vertiginoso delle ingiustizie, la provincializzazione del paese e infine, come si sa, una guerra disastrosa.

Basta un’ora per leggere questo volume, e sarà un’ora ben spesa, che darà a chiunque gli strumenti per difendersi dal rigurgito nostalgico che sta montando dentro e fuori il chiacchiericcio sguaiato dei social.

Robert Antelme

LA SPECIE UMANA

Einaudi, 1997

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Con i libri di Primo Levi, “La specie umana” rimane una delle testimonianze più alte della letteratura sui campi di sterminio: un’opera di lucida pietà e di grande dignità letteraria. Antelme racconta l’odissea di un gruppo di deportati politici nei campi di concentramento, il lavoro forzato nelle officine, le marce sfibranti lungo strade sconosciute, da Buchenwald a Gandersheim a Dachau, l’abbruttimento fisico e morale, la lunga battaglia per la vita. Ma il libro non si limita a denunciare l’assurdità di un sistema attraverso la descrizione delle sue atrocità, bensì cerca di smontare la macchina dello sterminio, smascherarne i congegni al tempo stesso assurdi e maniacalmente precisi: il lavoro, le violenze, i massacri. La specie umana invita a non abbassare la guardia della ragione, perché, come lo stesso autore dichiarò in un’intervista, è necessario comprendere che i libri sulla deportazione non sono antologie dell’orrore, ma strumenti di cultura.

Umberto Eco

IL FASCISMO ETERNO

La Nave di Teseo, 2018

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“Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’‘Ur-Fascismo’, o il ‘fascismo eterno’. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.” – Umberto Eco

Daniela Padoan

COME UNA RANA D’INVERNO –
Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz

Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi

Einaudi, 2018

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«Qualunque delinquente comune aveva diritto di vita e di morte su noi donne ebree, generatrici di un popolo odioso» (Liliana Segre). «Tutti quei bambini a cui non si è potuto portare soccorso, tutti quei vagoni che arrivavano, quei convogli infiniti che scaricavano centinaia e centinaia di persone al giorno che andavano al gas… È indimenticabile» (Goti Bauer). «Le donne sono maglie, se una si perde si perdono tutte» (Giuliana Tedeschi). «Considerate se questa è una donna / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inverno». È con questa immagine scarnificata che Primo Levi, nell’incipit di “Se questo è un uomo”, indica la necessità di riflettere sulla condizione delle donne prigioniere ad Auschwitz. Eppure per molti anni la storiografia e la testimonianza hanno appiattito l’esperienza femminile in una declinazione universale, in un neutro linguistico che, dimenticando i corpi sessuati, ha reso opaca l’intenzionalità stessa dello sterminio. Seguendo questo filo, Daniela Padoan ha chiesto a tre testimoni straordinarie – Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi, internate ad Auschwitz-Birkenau nello stesso periodo ma in età diverse della vita – di ripensare la loro esperienza di persecuzione, prigionia e ritorno a una impossibile normalità declinandola al femminile. In un fitto intreccio di richiami e rimandi interni, di racconti talvolta mai fatti in pubblico, le tre visioni differenti e complementari diventano una narrazione sola, densissima di significato, che si fa relazione, dono di parole, in una circolarità in cui il lettore viene raggiunto, intaccato dalla viva voce di chi possiede «una doppia cittadinanza, nel mondo dei morti e nel mondo dei vivi».

Enrico Mentana – Liliana Segre

LA MEMORIA RENDE LIBERI – La vita interrotta di una bambina nella Shoah

Rizzoli, 2015

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Un racconto emozionante su uno dei periodi più tragici del secolo scorso che invita a non chiudere gli occhi davanti agli orrori di ieri e di oggi, perché «la chiave per comprendere le ragioni del male è l’indifferenza: quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore».

«La violenza razzista è ormai un fiume senza argini, prodotto di una pazzia collettiva sapientemente alimentata dai seminatori di odio. I giovani devono conoscere quello che è realmente accaduto: è l’unico modo per porre un argine alla violenza presente e futura.» – Liliana Segre

«Se è necessario assegnare una scorta ad una signora anziana che non ha mai fatto male alcuno, ma che il male lo ha subito da bambina come Liliana Segre, vuol dire che gli interrogativi relativi alle differenze tra indifferenza, solidarietà, aiuto vicendevole da un lato e intolleranza e contrapposizione dall’altro non sono alternative retoriche e astratte ma estremamente concrete.» – Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica

«Un conto è guardare e un conto è vedere, e io per troppi anni ho guardato senza voler vedere.» Liliana ha otto anni quando, nel 1938, le leggi razziali fasciste si abbattono con violenza su di lei e sulla sua famiglia. Discriminata come “alunna di razza ebraica”, viene espulsa da scuola e a poco a poco il suo mondo si sgretola: diventa “invisibile” agli occhi delle sue amiche, è costretta a nascondersi e a fuggire fino al drammatico arresto sul confine svizzero che aprirà a lei e al suo papà i cancelli di Auschwitz. Dal lager ritornerà sola, ragazzina orfana tra le macerie di una Milano appena uscita dalla guerra, in un Paese che non ha nessuna voglia di ricordare il recente passato né di ascoltarla. Dopo trent’anni di silenzio, una drammatica depressione la costringe a fare i conti con la sua storia e la sua identità ebraica a lungo rimossa. «Scegliere di raccontare è stato come accogliere nella mia vita la delusione che avevo cercato di dimenticare di quella bambina di otto anni espulsa dal suo mondo. E con lei il mio essere ebrea». Enrico Mentana raccoglie le memorie di una testimone d’eccezione in un libro crudo e commovente, ripercorrendo la sua infanzia, il rapporto con l’adorato papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera e la gioia ritrovata grazie all’amore del marito Alfredo e ai tre figli.

Primo Levi

I SOMMERSI E I SALVATI

Einaudi, 2014

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«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo? Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi? Chi sono gli esseri che abitano la “zona grigia” della collaborazione? Come si costruisce un mostro? Era possibile capire dall’interno la logica della macchina dello sterminio? Era possibile ribellarsi? E ancora: come funziona la memoria di un’esperienza estrema? Le risposte dell’autore di Se questo è un uomo nel suo ultimo e per certi versi piú importante libro sui Lager nazisti. Un saggio imprescindibile per capire il Novecento e ricostruire un’antropologia dell’uomo contemporaneo.

Liliana Segre

IL MARE NERO DELL’INDIFFERENZA

a cura di Giuseppe Civati

People, 2019

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La testimonianza di Liliana Segre e il suo messaggio politico in un saggio di Giuseppe Civati che riprende, con grande cura, le sue parole e i suoi insegnamenti, in occasione della nomina a senatrice a vita da parte del Presidente Mattarella. Segre fu espulsa dalla scuola nel 1938. Fu clandestina, chiese asilo e fu respinta. Il 30 gennaio del 1944 fu deportata ad Auschwitz insieme a suo papà Alberto, che non sopravvisse al lager. Negli ultimi trent’anni, diventata nonna, ha promosso una straordinaria campagna contro l’indifferenza e contro il razzismo, in tutte le sue forme e le sue articolazioni. Le sue parole nitide, forti, indiscutibili sono un messaggio rivolto alle ragazze e ai ragazzi, suoi «nipoti ideali», perché non si perdano mai i diritti e il rispetto per le persone.

Il diario di Hélène Berr


Traduzione di Leonella Prato Carusoanti, Tina Montone e Ada Vigliani

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Hélène Berr ha vent’anni, è carina, innamorata, studia alla Sorbona e suona il violino. Le piace scrivere e così inizia a tenere un diario al quale affida cronaca quotidiana e pensieri intimi. È il 7 aprile 1942, una stagione dolcissima. Ma Hélène è ebrea e la storia, implacabile, fa irruzione nel mondo della giovane donna: l’occupazione nazista, le leggi razziali, l’umiliazione della stella gialla, il sequestro dei beni. Un percorso che si fa sempre più fosco mentre quelle che all’inizio filtrano come voci allarmanti – le retate, le camere a gas – si trasformano via via nella più orribile condanna. L’ultimo appunto nel diario di Hélène è del 15 febbraio 1944 e si conclude con tre parole agghiaccianti: “Orrore! Orrore! Orrore!” Alcuni giorni dopo sarà deportata ad Auschwitz e morirà di tifo a Bergen-Belsen poco prima della liberazione del campo. Prendendosi cura di affidare quelle pagine preziose alla cuoca di casa, Hélène riesce a consegnare alla storia e a Jean – che oggi con gli eredi Berr ne autorizza la pubblicazione – un documento di straordinario valore e autenticità.


Aleksandr Isaevič Solženicyn

ARCIPELAGO GULAG

Mondadori, 2021

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«Quel sorprendente paese che è il gulag, frantumato dalla geografia in arcipelago, ma unificato dalla psicologia in continente, è un paese quasi invisibile, quasi impalpabile, abitato dal popolo degli zek.» Dal Circolo polare artico alle steppe del Caspio, dalla Moldavia alle miniere d’oro della Kolyma in Siberia, le “isole” del Gulag – l’organismo che gestiva i campi d’internamento nell’Unione Sovietica – formavano un invisibile arcipelago, popolato da milioni di cittadini sovietici. Nei Gulag è vissuta o ha trovato fine o si è formata un'”altra” Russia, quella di cui non parlavano le versioni ufficiali, e di cui Solženicyn, per primo, ha cominciato a scrivere la storia. In un fitto intreccio di esperienze dirette, di apporti memorialistici, di minuziose ricostruzioni dove non un solo nome o luogo o episodio è fittizio, «Arcipelago Gulag» racchiude una tragica cronaca di quella che è stata la vita del popolo sovietico “del sottosuolo” dal 1918 al 1956. Un’opera corale che ha visto la luce per la prima volta a Parigi nel 1973. Questa edizione recepisce sia le aggiunte e integrazioni apportate al testo dallo stesso Solženicyn nel 1980 sia i successivi interventi volti a esplicitare nomi e luoghi effettuati nell’edizione curata da sua moglie nel 2006.

Elias Canetti

MASSA E POTERE

ADELPHI, 1981

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Prima di diventare una vistosa caratteristica delle società moderne, la massa è stata, la massa continua ad essere molte altre cose. Per avvicinarci a capirla, bisogna innanzitutto ricordare – come dice un antico testo ebraico – «che non esiste spazio vuoto fra cielo e terra, bensì tutto è pieno di schiere e moltitudini». La massa è qualcosa di esterno, ma può essere anche interna; è visibile, ma può essere anche invisibile; può uccidere, ma attrae. Massa è in primo luogo quella sterminata dei morti. Massa è il fuoco, il grano, la foresta, la pioggia, la sabbia, il vento, il mare, il denaro. Massa è la «scena psichica» dello schizofrenico. La massa, infine, non può esistere se non come contrappeso, cosmica ’paredra’, di un’altra soverchiante entità: il potere. Alla proliferazione della massa deve rispondere la tenebrosa solitudine del potente. Genghiz khan e il presidente Schreber, il sultano di Delhi e Filippo Maria Visconti spiccano nel loro molteplice delirio sul fondo di masse di sudditi, cadaveri, allucinazioni. Con l’asciuttezza vibrante di un annalista cinese, Canetti ha saldato in un tutto questa immane storia che vive in ciascuno di noi, che è iscritta nei nostri gesti elementari: afferrare, fuggire, spiare, ingoiare. La muta dei cacciatori paleolitici convive e si intreccia per sempre con i dimostranti che incendiano il Palazzo di Giustizia, con il rogo della biblioteca di Kien in Auto da fé. Alla fine riconosciamo come dallo sluagh-ghairm, il grido di battaglia dei morti negli Highlands scozzesi, discenda e si espanda in tutto il mondo un’altra parola: lo slogan.

IMRE KERTESZ

Essere senza destino

Feltrinelli, 2014

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Gyurka non ha ancora compiuto quindici anni, quando una sera deve salutare il padre costretto a partire per l’Arbeitsdienst. Alla domanda perché agli ebrei venga riservato un simile trattamento, il ragazzo rifiuta di condividere la risposta religiosa, “questo è il volere di Dio”. Perché dovrebbe esserci un senso in tutto questo? Poco dopo Gyurka viene arruolato al lavoro forzato presso la Shell, e da lì, un giorno, senza spiegazione, viene costretto a partire per la Germania. La voglia di crescere, di vedere e imparare, l’impulso vitale di questo ragazzo sono così marcati e prorompenti, che la sua “ratio” trova sempre una buona ragione perché le cose avvengano proprio in quel modo e non in un altro.

Viktor E. Frankl

L’UOMO ALLA RICERCA DI SENSO

Franco Angeli, 2017

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Viktor Frankl, psichiatra, fu deportato nel settembre del 1942 a Theresienstadt, in Boemia, per poi essere trasferito ad Auschwitz, a Kaufering III e quindi a Türkheim. Scampò alla morte, ma perse le persone più care. Rientrato a Vienna dettò in soli sette giorni le sue memorie. Ciò che ne scaturì è questo libro. Non è un trattato, ma neppure un semplice memoriale della deportazione. È un documento umano di straordinario valore, il cui successo non è dovuto tanto all’oggetto del discorso, quanto alla particolarissima prospettiva con cui viene affrontato e al profondo messaggio che trasmette: la vita vale la pena di essere vissuta in qualunque situazione e l’essere umano è capace, anche nelle peggiori condizioni, di “mutare una tragedia personale in un trionfo”. Proprio questo aspetto costituisce uno dei motivi della inossidabile attualità dello scritto di Frankl: esso, infatti, pur narrando i tragici eventi a cui si riferisce, li trascende per incentrarsi sull’esplorazione della natura umana e delle sue potenzialità. E, in questo senso, ciò che dice vale non solo per l’esperienza della detenzione, ma anche per tutte le altre “situazioni-limite” (la sofferenza, la malattia, la disabilità, il lutto, ecc.) che sfidano la capacità umana di resistere e di sopravvivere. Ognuno di noi, pertanto, può trovare in questo libro un riflesso di sé: non necessariamente di ciò che è stato, ma magari di ciò che può diventare nonostante gli “urti” della vita, opponendosi al proprio destino e dominandolo dall’interno. Leggere Frankl è un’esperienza di rivelazione: ci induce a scoprire i lati migliori di noi.

Ida Fink

FRAMMENTI DI TEMPO

Giuntina, 2022

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Basate su esperienze autentiche, spesso autobiografiche, queste storie frantumate, raccontate in un sussurro, hanno qualcosa di più della forza data dalla testimonianza diretta. L’autrice si sofferma su quei piccoli frammenti di tempo che precedono le deportazioni nei campi di sterminio o gli omicidi. Con una scrittura delicata e con sapiente costruzione di questi, talvolta, brevissimi racconti, Ida Fink fa sì che a poco a poco anche il lettore respiri quell’atmosfera di ansia, paura e poi vero terrore di cui ogni giorno era pervasa la vita degli ebrei polacchi.

Marceline Loridan-Ivens

E TU NON SEI TORNATO

Bollati Boringhieri, 2017

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1944: Marceline, 14 anni, viene deportata insieme al padre ad Auschwitz-Birkenau. Lei si salva, lui no. Oggi ottantanovenne, in queste memorie in forma di lettera al padre, Marceline ricorda con straordinaria chiarezza gli orrori subiti, ma soprattutto rivela l’amore incondizionato che la lega al genitore, le cui parole al momento della deportazione – «Tu tornerai, Marceline, perché sei giovane» – l’accompagnano, spronandola a sopravvivere, per tutto il percorso che la attende, da un campo all’altro, da Birkenau a Bergen-Belsen, da Lipsia a Theresienstadt, fino alla liberazione e al ricongiungimento con la madre e i fratelli.

Le sue frasi brevi, concise, ci presentano i fatti accaduti man mano che le ritornano alla memoria, e ci raccontano anche il «dopo»: il ritorno a casa, la difficoltà di tornare a una vita normale, le incomprensioni con chi vuole solo dimenticare, il matrimonio con l’intellettuale francese Joris Ivens.

Un flusso di ricordi breve ma torrenziale, pieno di pathos, animato da un’incrollabile voglia di sopravvivere, rende impossibile staccare gli occhi dalle pagine di una delle testimonianze più forti consegnateci dalle vittime della Shoah.


Fëdor Dostoevskij

MEMORIE DI UNA CASA MORTA

Rizzoli, 2004

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Nel 1849 Dostoevskij, che faceva parte di un circolo di giovani intellettuali di tendenze socialiste, fu arrestato dalla polizia zarista e, dopo otto mesi di reclusione, venne condannato a morte. Successivamente questa pena fu commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia, a Omsk, dove il suo fisico fu segnato per sempre. Questo libro è la cronaca fedele di quel periodo di deportazione, dei luoghi conosciuti e dei personaggi incontrati.

CONSIGLIAMO INOLTRE:

Anders G., Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 2007. Traduzione di A. G. Saluzzi
Appe lfe ld A., Storia di una vita, Guanda, Parma 2019. Traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi
Arendt H., La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2019. Traduzione di Piero Bernardini
Bauman Z., Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna 2010. Traduzione di Massimo Baldini
Levi P., Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi, Torino 2003
Levi P., De Benedetti L., Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986, Einaudi, Torino 2015
Lévy-Hass H., Diario di Bergen-Belsen, Jaca Book, Milano 2020. Traduzione di Amira Hass
Novac A., I giorni della mia giovinezza, Mondadori, Milano 1998
Veil S., Una vita, Fazi Editore, Roma 2010. Traduzione di F. Minutiello
Wiesel E., La notte, Guanda, Parma 2016. Traduzione di E. Fubini
Wiesel E., L’alba, Guanda, Parma 1996. Traduzione di E. Fubini
Wiesel E., Il giorno, Guanda, Parma 1996. Traduzione di E. Fubini
Todorov T., Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Garzanti, Milano 2016. Traduzione di Roberto Rossi


FILM CONSIGLIATI

METROPOLIS

regia di FRITZ LANG

1927

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Metropolis è un film muto del 1927 diretto da Fritz Lang, considerato il suo capolavoro.

Lang ambienta il film in un futuro distopico presentato in prima assoluta il 10 gennaio 1927) in cui le divisioni classiste sembrano accentuarsi. Il film è tra le opere simbolo del cinema espressionista ed è universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema di fantascienza modernoMetropolis (1927) di Fritz Lang. Il valore culturale e tecnico del film lo ha portato ad essere stato il primo film inserito nel registro Memoria del mondo, un progetto dell’UNESCO nato nel 1992 per salvaguardare le opere documentarie più importanti dell’umanità.

LA VERITA’ NEGATA

regia di Mick Jackson

2016

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La libertà di opinione è un diritto fondante della democrazia. Cosa ben diversa è negare l’evidenza dei fatti. La terra non è piatta, il surriscaldamento globale non è un’invenzione di ambientalisti paranoici e l’Olocausto non è stato inventato per screditare la Germania dai tavoli politici. Eppure nel 1996 la professoressa Deborah Lipstadt si è vista costretta a dimostrare in un’aula di tribunale che l’uccisione di milioni di ebrei nei campi di concentramento sia realmente accaduto. Una storia raccontata da Mike Jackson ne La verità negata (lo trovate su CHILI), film basato sul libro Denial: Holocaust History on Trial.

IL LABIRINTO DEL SILENZIO

regia di Giulio Ricciarelli

2016

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Francoforte 1958, Johann Radmann è un giovane procuratore deciso a fare sempre ‘quello che è giusto’. Un principio, il suo, autografato sulla foto del genitore, scomparso alla fine della Seconda Guerra Mondiale e di cui conserva un ricordo eroico. Ma i padri della nazione, quella precipitata all’inferno da Hitler, a guardarli bene sono più mostri che eroi e Johann dovrà presto affrontarli. Avvicinato da Thomas Gnielka, giornalista anarchico e combattivo, conosce Simon, artista ebreo sopravvissuto ad Auschwitz e a due figlie gemelle, sottoposte a test crudeli dal dottor Josef Mengele. Simon ha riconosciuto in un insegnante di una scuola elementare uno degli aguzzini del campo di concentramento. Come lui, molti altri ‘carcerieri’ e ufficiali sono tornati alle loro vite rimuovendo colpe orribili. Colpito dal dolore di Simon e dall’ostinazione di Thomas, Johann decide di occuparsi del caso. Schiacciato tra il silenzio di chi vorrebbe dimenticare e di chi non potrà mai dimenticare, il procuratore chiede consiglio e aiuto a Fritz Bauer, procuratore generale, che gli darà carta bianca e il coraggio di perseverare. Testimonianza dopo testimonianza, Johann Radmann prende coscienza dell’orrore, ricostruisce il passato prossimo della Germania e avvia il ‘secondo processo di Auschwitz’.

L’ONDA

regia di Dennis Gansel

2008

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Lo studio della storia è fondamentale per conoscere gli errori del passato e non ripeterli in futuro. Allora perché tende a ripetersi? Perché è difficile imparare dalle stragi che si sono compiute? L’uomo sarebbe capace di far nascere un nuovo Reich o una dittatura così aberrante? Da queste riflessioni Ron Jones, professore di storia in California, nel 1967 ha ideato un esperimento sociale chiamato La terza onda, dove gli studenti hanno simulato la dinamica di un’autocrazia. Quarant’anni dopo è stato prodotto il film L’onda, di cui vi proponiamo la recensione, basato proprio su questa esperienza e sul libro di Todd Strasser che la approfondisce.

La produzione del film è tedesca. Il regista Dennis Gansel ha spostato la storia nella Germania del nuovo millennio per riflettere maggiormente sulla possibilità di una nuova dittatura in uno dei luoghi dove si è consumata una delle più strazianti e violente della storia. L’onda racconta la settimana di una classe che forma un gruppo per replicare un sistema dove un gruppo ristretto ha un potere illimitato per capire dall’interno le sue peculiarità, le sue fascinazioni e le sue contraddizioni. Il film ha avuto un grande successo e nel 2019 l’hanno trasposto anche in una serie chiamata Noi siamo l’onda.

JOJO RABBIT

regia di Taika Waititi

2019

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Con questa pellicola, il regista ha voluto portare sul grande schermo una storia che, a partire dai problemi adolescenziali del protagonista, evolve in una riflessione ironica sulla tolleranza e contro l’odio destinata al grande pubblico. Jojo Betzler (Roman Griffin Davis) ha dieci anni, desidera diventare un bravo nazista e ha difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei tanto da essere soprannominato “Jojo Rabbit” (Jojo il coniglio). Per cercare di affrontare le difficoltà quotidiane, Jojo si rivolge al suo amico immaginario che ha il volto di Adolf Hitler (Taika Waititi). Un giorno scopre che la madre (Scarlett Johansson) nasconde in soffitta Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazza ebrea. Tra i due nasce un’amicizia e Jojo comincia a porsi molte domande sulla legittimità di quanto gli viene insegnato sia a scuola che nel campo di addestramento.Candidato nel 2021 al David di Donatello come miglior film straniero, il film ha ottenuto nel 2020 moltissimi riconoscimenti, tra cui: Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (Taika Waititi) e candidatura per il miglior film, la migliore attrice non protagonista (Scarlett Johansson), la migliore scenografia (Ra Vincent e Nora Sopková), il miglior montaggio (Tom Eagles) e i migliori costumi (Mayes C. Rubeo).Il regista, produttore, sceneggiatore, attore e doppiatore (!) Taika Waititi noto per “Thor: Ragnarok” del 2017, di madre di religione ebraica e padre maori, ha basato “Jojo Rabbit” su un adattamento del libro “Caging Skies” di Christine Leunens del 2004.

NOVECENTO

regia di Bernardo Bertolucci

1976

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Novecento è un maestoso dipinto che racconta il ventesimo secolo attraverso la storia di due bambini, poi uomini, della bassa padana. Nelle pianure parmensi infatti, luogo dove lo stesso Bertolucci è nato e cresciuto, ha luogo un dramma lungo più di quarant’anni, che percorre le fasi salienti di questo secolo. Dalla morte di Giuseppe Verdi fino alla Prima Guerra Mondiale, dal Biennio Rosso al regime fascista, fino ad arrivare alla caduta di quest’ultimo e al termine del secondo conflitto bellico.Novecento, capolavoro del cinema di Bernardo Bertolucci con Robert De Niro e Gerard Depardieu.Novecento, capolavoro del cinema di Bernardo Bertolucci con Robert De Niro e Gerard Depardieu.Novecento, anno 1976, regia di Bernardo Bertolucci. Con Gerard Depardieu e Robert De Niro.Con 320 minuti di durata, Novecento venne girato interamente fra Emilia-Romagna, Lombardia e Liguria e con un cast davvero stellare. Come avvenne per un altro capolavoro del cinema, Il Gattopardo, anche per questo film ci si affida ad un cast eterogeneo comprendente attori da tutto il mondo. Il francese Gerard Depardieu e l’americano Robert De Niro interpretano i due protagonisti della vicenda. Accanto a loro altri illustri nomi del cinema e del teatro italiano, francese e americano come Stefania Sandrelli, Romolo Valli, Alida Valli, Burt Lancaster, Dominic Sanda, Donald Sutherland, Sterling Hayden, Laura Betti e molti altri ancora. Tra questi compare anche un’anziana Francesca Bertini, a suo tempo grande star del cinema muto.

THE READER – A VOCE ALTA

regia di Stephan Daldry

2008

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Nella Germania degli anni Cinquanta, il quindicenne Michael e la trentenne Hanna si incontrano per caso e vivono una breve ma appassionata relazione. Quando lei scompare apparentemente senza un motivo, lui è convinto di averla perduta per sempre.

FAHRENHEIT 451

regia di Francois Truffaut

1966

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In una società ambientata in un futuro imprecisato, Guy Montag (Oskar Werner) svolge con rettitudine ed estrema diligenza il suo lavoro di pompiere. Ma in questa strana società il pompiere non doma gli incendi bensì li genera…con i libri. Un dispotico e onnipresente governo totalitario ha bandito il diritto di leggere, la lettura è un reato e possedere libri porta all’arresto. Montag esegue gli ordini senza porsi domande fino a quando la conoscenza di una simpatica e affascinante ragazza, Clarisse (Julie Christie), non gli aprirà gli occhi facendogli comprendere l’assurdità della legge. Il protagonista non potrà più accettare una vita senza libertà e soprattutto senza conoscenza realizzando che l’unico scopo del governo è quello di controllare e condizionare le vite di ognuno spacciando una felicità falsa e solo apparente.

Fahrenheit 451 è un film angosciante che trasmette una certa inquietudine allo spettatore mostrando un’ipotetica società del futuro dove le parole, le lettere e quindi qualsiasi documento scritto, che sia un romanzo, un saggio o un fumetto, è severamente proibito.

IL CONFORMISTA

Regia di Bernardo Bertolucci

1970

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Il conformista è un film del 1970 diretto da Bernardo Bertolucci e tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia.
Il Conformista, è prima di tutto un film che affonda le sue radici nel clima di terrore generalizzato
che il fascismo esercitava sui dissidenti, perpetrando violenze inumane e restrittive di tutte le
libertà. Ma lo sguardo di Bertolucci è rivolto soprattutto al conformismo becero di cui è vittima la
borghesia. Quella borghesia che ora è fascista, ma in futuro potrà saltare al di là della barricata
senza scrupoli nè remore. Nella scena più poetica della pellicola Clerici e il professor Quadri – vittima designata del Duce in quanto antifascista – ricordano il mito della caverna di Platone, in cui gli uomini prigionieri sono in grado solo di scorgere le ombre proiettate sul muro dinanzi alla grotta, ma non le persone che transitano fuori. La prima bozze di cinema, embrionale e presitorica,
ritrovata in una delle pellicole chiave del Novecento.

L’IMMAGINE MANCANTE

Regia di Rithy Panh

2013

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L’immagine mancante (L’image manquante) è un documentario cambogiano del
2013 diretto e scritto da Rithy Panh

CONSIGLIAMO INOLTRE:

I ragazzi del Reich (Napola – Elite für den Führer) è un film del 2004 scritto e diretto da Dennis Gansel
Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) scritto, diretto, musicato, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin
Lo Stato contro Fritz Bauer (Der Staat gegen Fritz Bauer) è un film del 2015 diretto da Lars Kraume
Effetto Lucifero (The Stanford Prison Experiment) è un film del 2015 diretto da Kyle Patrick Alvarez
Una giornata particolare di Ettore Scola, con Marcello Mastroianni e Sofia Loren
Schindler’s List (1993), regia di Steven Spielberg
Suite francese (Suite française) è un film del 2014 diretto da Saul Dibb
Il federale è un film del 1961 diretto da Luciano Salce con protagonista Ugo Tognazzi
Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)
La Rosa Bianca-Sophie Scholl (2005) (Resistenza al nazismo) di Marc Rothemund
Il diario di Anna Frank (1959) regia di George Stevens
Il servo ungherese (2004) diretto da Giorgio Molteni
Il pianista (2002) di Roman Polański
Monsieur Batignole (2002) di Gérard Jugnot
La chiave di Sara (2010) regia di Gilles Paquet-Brenner
Lezioni di persiano (2020) regia di Vadim Perelman
L’oro di Roma (1961) di Carlo Lizzani
Il cielo cade (2000) (Occupazione nazista in Italia) di Andrea e Antonio Frazzi

Süss l’ebreo (Jud Süß) è un film di propaganda antisemita diretto da Veit Harlan che uscìnella Germania nazista nel 1940.